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dedicato a Umberto



Letteratura

 

La versione di Barney
Richler Mordecai
Adelphi

di Paolo Scalia

 


Il passato è un paese straniero, dove le cose si fanno in un altro modo.
La malattia sociale del futuro sarà l’intelligenza.

Le trasposizioni cinematografiche dei capolavori letterari sono spesso deludenti, ma hanno il pregio di darci la possibilità di commentare libri non recentissimi ma che non meritano di essere dimenticati. E’ il caso di “La Versione di Barney”, romanzo del 1997, dal quale  nel 2010 è stata tratta una versione cinematografica  sommariamente riassunta, quasi priva dell’humour originario, politicamente corretta, insomma noiosamente ben fatta.

Giunto alla soglia della vecchiaia e alle prese con le prime avvisaglie del morbo di Parkinson, Barney Panofsky, proprietario dello studio televisivo Totally Unnecessary Productions, decide di scrivere le sue memorie; apparentemente per controbattere le calunnie dell’odiato scrittore McIver e difendersi dall’accusa di   aver  ucciso il suo migliore amico, ma in realtà per giustificare una vita apparentemente ricca di sbagli e vizi e avara di pregi o, forse, come direbbe De Andrè, “per consegnare alla morte una goccia di splendore,  di umanità e di verità”.

Inizia così una girandola di episodi e caratteri, flash back e flash forward , divagazioni esilaranti, citazioni colte e acuti aforismi  che inizialmente disorientano  il lettore abituato alle trame lineari della letteratura tradizionale, ma che finiscono per  avvolgerlo  in una solida ed invisibile ragnatela, che scongiurerà il triste fenomeno dell’abbandono dei libri sulle strade, padron, sui comodini.

Si avvicendano così personaggi e luoghi tracciati con vivida e naturale abilità, tutti legati da un filo conduttore: l’incapacità di essere felici o di mantener questa felicità. In un vortice di bovarismo e autodistruzione, d’invidie e rancori, che conduce chi ha talento a sprecarlo, chi raggiunge il successo  a non goderselo appieno, chi ha l’amore ad allontanarlo.
Personaggi come Il padre di Barney, il rozzo ma onesto ispettore Izzy Panofsky a cui l’antisemitismo  e le maniere grossolane impediscono ogni possibilità di carriera, o la madre apatica e succube delle soap opera radiofoniche che trasmette al figlio solo la sua passione per il Tip tap.
E luoghi come la mitologica Parigi dei primi anni cinquanta, ancora euforica per la fine della guerra e affollata da un nugolo di artisti americani, molti dei quali hanno combattuto sulle spiagge della Normandia e nelle foreste delle  Ardenne.  Parigi, fitta di piccole “boites de nuit”  in cui è possibile ascoltare Sidney Bechet,  Charlie Parker e Miles  Davis (!) e dove s’incontrano: “un'accozzaglia  di giovani scrittori arrapati, senza un soldo e subissati di  lettere di rifiuto, eppure palesemente convinti che tutto fosse a  portata di mano - che fama, successo e bambole in deliquio  fossero lì, dietro l'angolo, pazzi di felicità per il solo fatto di  essere a Parigi”.

Ed è proprio a Parigi che il giovane Panofsky conosce Bernard Boogie Moscovitch, il suo miglior amico, uno scrittore di grande talento, prototipo degli scrittori autodistruttivi e anticonformisti della beat generation, le cui potenzialità  verranno  progressivamente annichilite da droghe sempre più potenti. Scomparirà in circostanze misteriose dopo un litigio con Barney, che per questo motivo si porterà fino alla tomba il sospetto di omicidio.
A Boogie  fa da contraltare Terry McIver, romanziere di mediocre ispirazione ma di grande ambizione e tenacia, ipocrita e sistematico manipolatore della realtà, disposto a calpestare amici e famiglia pur di raggiungere il successo programmato, che tiene dei taccuini numerati in previsione della futura richiestissima autobiografia.
 Poi c’è Leo Bishinsky,  pittore che crea i suoi capolavori mischiando i colori in grandi secchi, e  poi applicandoli sulla tela con uno strofinaccio da cucina. Come molti artisti di successo si trasformerà col tempo in un arido  uomo d’affari.

Ed infine Clara Charnofsky poetessa e autrice di conturbanti tele astratte e chine non meno spaventevoli,  dall’infanzia infelice e dalla vita dissoluta. Clara, che da morta diventerà  “un santino femminista, una martire immolata sull'altare del più  bieco sciovinismo maschile”, ma che in realtà disprezzava  le altre donne e si “immolava” ai biechi maschilisti spesso e volentieri. Clara è tormentata da strani fantasmi, ridicole manie, dai ricordi del padre rabbino che, per cacciarle il demonio dal corpo, la sottoponeva all’elettroshock.  Sposa Barney ma ne disprezza il senso degli affari  e la mancanza di talento (nonché le performance sessuali). Solo quando Panofsky  dopo aver scoperto i suoi tradimenti con tutti i suoi amici l’abbandona, Clara si  rende conto di quanto quell’uomo buono e sincero fosse importante per lei e, disperata, si toglie la vita.

Al suo ritorno a Toronto Barney  sposa la seconda signora Panofsky, superficiale, golosa e insopportabilmente logorroica. Le sue telefonate alla madre sono spassosissime e irritanti eppure non possiamo non provare compassione per come viene trattata dal marito già innamorato della futura terza signora Panofsky.  Trascurata e ignorata finirà per tradirlo con Boogie. La terza signora Panofsky è Miriam, bellissima e intelligente, l’unica donna che Barney abbia veramente amato, con cui avrà  tre figli e vivrà felice per vent’anni, ma che alla fine lo lascerà logorata dai suoi vizi, dal suo cinismo, e dalla  sua possessività. Un'unica insignificante scappatella sarà la goccia che farà traboccare il vaso, o  paradossalmente, il senso di colpa di Barney che lo farà confessare volontariamente, pur sapendo che la moglie  può sopportare tutto ma non l’infedeltà.
Barney è ebreo ma nello stesso tempo razzista; apparentemente egoista, ma sempre pronto ad aiutare gli altri;  sarcastico, provocatore e cinico, ma allo stesso tempo ingenuo, sensibile e con profondi sensi di colpa; vizioso, ma con principi etici. A volte furbo, ma il più delle volte istintivo. Un uomo che sbaglia, ma paga in prima persona per i suoi sbagli. Un uomo che crede profondamente all’amicizia, ma che non sempre viene ripagato con la stessa moneta dai suoi amici. Produce telefilm e documentari di nessun valore artistico, e quindi di grande successo. Ma più soldi tira su, più sente crescere in sé la rabbia per una vita intellettuale gettata alle ortiche.  Diventa un“collezionista di rancori”, come lo definirà Miriam.  Le sue uniche vere passioni sono il Macallan, l’hockey su ghiaccio e il Tip tap (al quale si dedica al riparo da occhi indiscreti). 

Memorabili le subdole lettere che scrive sotto falso nome per vendicarsi dei nemici o per riconquistare Miriam, irresistibili la scena del suo primo appuntamento con  la terza moglie, inaspettate le sue visioni alternative sulla politica,  sul femminismo, sulla religione, sulle minoranze etniche,  sugli artisti. Spassosi i ricordi dell’insegnante ninfomane Miss Ogilvy (che solo negli ultimi capitoli scopriremo se sia un parto della sua fantasia o meno).  

Non è possibile non provare simpatia per Barney Panofsky, immedesimarsi nei suoi difetti, commuoversi per le sue disgrazie o ridere per i suoi cinici scherzi.  Salinger ha scritto: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira", non so se chiamerei Richler (anche perché è scomparso nel 2001) ma mi piacerebbe avere un amico come Barney Panofwsky, credo piacerebbe a tutti.

Potremmo invitarlo a bere qualcosa, parleremmo di sport, di politica, di letteratura e ovviamente delle nostre rispettive Miriam. E alla fine andremmo via lasciandogli il conto da pagare e portandoci dietro una sentenza cinica o un aforisma che renderà meno scontata la nostra vita. E se il caso, da buoni amici, andremo a letto con sua moglie.

 

 

 

 

 

 

 


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