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Recensioni
Concerti

 
THE CURE
20 luglio 2005
Teatro Antico, Taormina

di Giancarlo Salafia

La Perla dello Jonio si tinge di nero, accogliendo la pacifica invasione dello stravagante popolo dark e per una notte si rivivono momenti ed atmosfere che appartenevano a qualche decennio fa. Tutti per loro. Per Robert Smith e i suoi inossidabili CURE.

E la band britannica, sulla scena musicale ormai da più di vent’anni, ripaga con gli interessi, offrendo uno show che dura 3 ore e dieci minuti. Cinquemila tagliandi venduti, l’unico concerto del palinsesto di TaoArte 2005 andato sold-out e con un mese di anticipo. Cancelli aperti alle 18.30, un’ora prima del previsto, visto l’enorme afflusso di gente e la calca che si crea all’ingresso del teatro.

Ma tutto va per il meglio, nessun incidente, solo una grande immensa festa che ha inizio quando i Cure salgono sul palco alle 21.20 e di fronte ad una folla di fans in delirio, sulle note di Open (Wish) comincia uno dei più longevi concerti rock degli ultimi tempi. Lo scenario è sicuramente uno dei più suggestivi al mondo, il teatro greco di Taormina, che in alcuni momenti riporta alla memoria un altro storico concerto dei Cure, quello di Orange (1985), in Francia, altro fantastico teatro antico. In più la band si presenta per la prima volta in Sicilia con una line-up alquanto originale; via le tastiere (non succedeva da almeno 20 anni) di O’Donnel e l’inatteso quanto gradito ritorno di Porl Thompson alla chitarra, uscito dal gruppo nel 1994.

Robert e compagni spaziano e attingono dal loro ampio repertorio disponibile, saltando avanti e indietro negli anni, regalando momenti di grande intensità: A strange day, Fascination street, From the edge of the deep green sea, A letter to Elise, Figurehead, One hundred years, Lullaby (meglio con le tastiere), fino ad arrivare al culmine della prima parte con End, il brano che chiude Wish.

Finisce qui la prima parte del concerto, ma siamo appena all’inizio.

Primo rientro tutto di marca "Seventeen seconds", il secondo album della band targato 1980, che li porta per la prima volta in tour in tutto il mondo. Forse l’album più bello ed enigmatico dei Cure. Ed ecco incalzare At night, Play for today, con cori da stadio a supplire ancora una volta la mancanza delle tastiere, quindi M e, come doveroso (forse) l’immancabile song per eccellenza da ben 25 anni ad oggi: A forest, di fronte ad un pubblico ormai incantato.

Pausa, poi il secondo rientro con una incantevole If only tonight we could sleep e la rabbiosa The Kiss, per poi dare sfogo alle esplosive In between days, Friday I’m in love e Boys don’t cry. Ma non è tutto.

Altro bis, culmine dell’intensità… è di scena Faith, bellissima, cupissima. Sembrava la fine e invece si va ancora avanti per l’ultimo bis con Three imaginary boys, Grinding halt, per poi passare a 10:15 saturday night e concludere con la classica delle classiche Killing an arab, in cui Robert, con fare forse diplomatico, tramuta "killing" in "kissing".

E’ la fine di un concerto memorabile, un concerto costruito sul momento (seconda parte), improvvisato, in cui si è visto un inedito Robert Smith a tratti divertito, coinvolto da uno scenario artistico di estrema bellezza e trascinato dal calore di un pubblico che finalmente dopo tanti anni ha potuto in terra propria abbracciare i propri beniamini.

Le parole di congedo lasciano ben sperare… "see you again" è più che una promessa, parola di leader.

 

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