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dedicato a Umberto



Interviste

 
JESUS and MARY CHAIN
ottobre 2006

pubblicato sul n° 155 di MOJO, ottobre 2006;
a cura di Keith Cameron,
liberamente tradotto da Giuseppe Magnano

 

'... black eyes white noise ... '


Dopo una serie di squilli al telefono risponde la segreteria telefonica ed una voce con tipico accento di Glasgow blatera una serie di parole. Aspetto il beep e subito dopo una voce americana mi informa che la memoria è piena.

Mi sembra William Reid, il principale chitarrista, compositore ed autore dei Jesus And Mary Chain, il quale non ha altro da dire. 

Cerco di contattare Reid seguendo le vie ufficiali, ma è molto difficile trovare un uomo senza manager e senza etichetta. Voci affermano che William e suo fratello minore, Jim, non hanno più avuto contatti con la stampa dallo scioglimento della band, dall’ultimo concerto negli U.S. otto anni fa. 

Quando tre quarti della formazione originale dei Jesus And Mary Chain apparirono in pubblico per la prima volta in 20 anni, alla cerimonia della Mojo Honour List, giugno scorso, William era l’unico assente. Era a casa, a Los Angeles, che lasciava squillare il telefono. Quando Jim Reid prese il Mojo Maverick Award da Bobbie Gillespie (diventato famoso quale frontman dei Primal Scream ma già primo batterista dei Jesus And Mary Chain) con accanto il bassista Douglas Hart, scherzava dicendo “ho il piacere di ringraziare mio fratello… per non essere venuto!”.

Un’altra telefonata a Los Angeles, ad un altro uomo scozzese. A differenza di Reid senior Alan McGee ha voglia di parlare. Nel 1984 ha pubblicato il primo singolo dei Jesus And Mary Chain, Upside Down, facendo diventare la propria etichetta alle prime armi, la Creation, in un vero e proprio fenomeno. È stato il manager del gruppo per due anni, guidando l’incostante quartetto nel loro viaggio da una sicura morte-di-noia in una cittadina scozzese alla leggenda, passando per concerti elettrizzanti già soltanto per la paura di risse ed un album, Psychocandy, che definitivamente ha stabilito che il post punk necessita un incontro con la musica pop per divenire una miscela perfetta.  

“Ok, ti darò la verità assoluta sui Mary Chain” afferma McGee. “Malati di mente! Il manager è danneggiato, ma funziona; Bobby Gillespie è danneggiato ma funziona; Jim Reid è danneggiato e discutibilmente funzionante; Douglas Hart è danneggiato; William Reid è danneggiato. Non ti hanno detto niente? I danni sono il loro filo conduttore! Il manager e le quattro persone della band sono andate! Ma quello che ho visto in loro, l’ho visto negli Oasis, nei Libertines. A volte le persone pazze non sono realmente pazze, sono geniali”.  

1978, East Kilbride. Insieme ai soliti nomi di gruppi punk scarabocchiati nel diario di scuola, il 13enne Douglas Hart ha anche scritto The Velvet Underground e Iggy And The Stooges. Anche mirando agli hippy della metà degli annni ‘70, i Velvet erano una band di piccolo spessore, ma per un adolescente scozzese alle superiori era il senso di una considerevole eterodossia. “Un ragazzo a scuola disse ‘faccio karate con un tipo che ama gli stessi gruppi che ascolti tu’. Quello era Jim Reid.”  

Come non farebbe mai un ragazzino di 13 anni, Hart ha semplicemente bussato alla porta della famiglia Reid chiedendo se Jim fosse in casa. “Douglas dimostrava 10 anni” ricorda Reid. “Mio padre era parecchio preoccupato per me ma avevamo gli stessi gusti musicali”. Dopo poco tempo Hart e Reid facevano lunghe passeggiate attorno East Kilbride, parlando di musica e dei gruppi emergenti. “A quel tempo la gente non ricordava, o non provava interesse per le cose che ascoltavamo noi” dice Jim “Iggy And The Stooges, Suicide, Velvets… così quando incontri qualcuno che attraversa tutta la città per comprare un disco dei 13th Floor Elevators tu pensi, quello è il mio genere di persona!”

“Andavamo completamente contro corrente” dice Hart “ credo fosse perché c’erano un sacco di persone che ascoltavano il punk ma poche che lo accostavano al passato. Conoscevo i Velvets e Iggy ma loro mi facevano ascoltare i Can, gruppi di sole donne, ecc… Jim e William Reid sono stati la mia rivoluzione culturale.”

Nato nel 1958, William Reid era tre anni più grande di suo fratello, e sette anni più grande di Hart. Non ha mai partecipato alle loro passeggiate, non lo faceva perché conosceva bene che tipo fosse Jim. Anche dopo il suo 21esimo compleanno continuava a dividere la stanza con suo fratello a casa dei genitori. Anche se saltuariamente lavoravano dopo la scuola – Jim alla fabbrica di motori della Rolls Royce, William ad una fabbrica di formaggio – all’inizio degli anni ‘80 erano entrambi disoccupati e con poche prospettive. Motivarsi era un problema. Anche la musica, la loro ossessione, aprì una frattura alla riserva di inerzia dei fratelli Reid. “Gli elementi fai-da-te del punk rock hanno aperto le nostre menti. Chiunque può farlo” disse Jim “naturalmente non tutti possono farlo bene come i Ramones, ma quello non lo capisci in quel momento. William comprò un basso nel 1977, il quale, naturalmente, se ne stava tutto impolverato in un angolo della nostra stanza. Eravamo davvero pigri.”

East Kilbride ha favorito il senso di alienazione e di intorpidimento dei fratelli. Nata come la prima nuova città scozzese nel 1947, dava accoglienza ed opportunità alla disperata comunità di classe operaia di Glasgow, era a 10 miglia a nord. Ma come per tutte le nuove città costruite in Gran Bretagna in un flusso di pianificazione urbana del dopoguerra l’idea funzionale di East Kilbride  era una maledizione per i singoli spiriti umani come Jim e William Reid.

“East Kilbride non è lontana da Glasgow,” dice Jim “ma sarebbe stato meglio che si fosse trovata nel lato oscuro della luna per quanto eravamo considerati distanti. Non potevo permettermi l’autobus per Glasgow. Così la maggior parte del mio tempo la trascorrevo a East Kilbride, che non è il posto peggiore sulla terra ma se sei dentro un certo genere di cose come me lì non c’era niente per te. Eravamo considerati i vicini strani. Anche dai nostri vicini strani eravamo considerati strani”.

Mentre Hart non ha mai visto nulla oltre East Kilbride in tutta la sua vita, Jim e William erano entrambi nati nell’East End di Glasgow. Vissero in una casa popolare a Parkhead, vicino lo stadio del Celtic, nella stessa strada dei nonni materni. I Reids si trasferirono a East Kilbride nel 1965. “Erano devastati dall’idea di arrivare a East Kilbride” ricorda Hart “non penso che fossero felici lì. Quando finii la scuola iniziai a diventare inquieto nel vivere in quel posto ma loro erano già totalmente stanchi di stare lì. Iniziarono a diventare prigionieri della loro stanza da letto. Le loro menti andavano oltre ma continuavano lo stesso a dividere la stessa stanza. E credo che litigassero spesso, come tutti i fratelli.”

La rivolta dei fratelli Reid iniziò nel 1983 quando comprarono uno studio di registrazione portatile con del denaro regalatogli dal padre, che era stato da poco licenziato. “Ci diede 350 sterline e avrebbe voluto che comprassimo un’automobile” ride Jim “noi facemmo una demo e la mandammo a chiunque”.

La demo comprendeva 4 brani – includeva Upside Down e Never Understand – ed era firmata dai “The Daisy Chain”. Nessuno a Glasgow volle farli suonare. Uno dei destinatari della demo era Nick Lowe (non lo stimato cantante-compositore), il quale gestiva un club indie di fronte il Lorne Hotel, in Sauchiehall Street. A Lowe non interessava particolarmente quello che aveva appena ascoltato ma siccome la demo era stata incisa sopra una cassetta di brani di Syd Barrett e dei 13 Floor Elevators, lui conosceva qualcuno a cui sarebbe potuta piacere. Detto fatto, Bobby Gillespie rimase colpito già dal buon gusto di qualcuno che registra e spedisce una demo insieme a brani di Barrett solista per fare in modo da far ascoltare questi Daisy Chain.

“Fui profondamente colpito” dice Gillespie “suonava come i Suicide che incontrano i Generation X che incontrano i Velvet Underground. Avevano una batteria elettronica ed il risultato era una serie di toni alti ed un folle rumorosissimo sintetizzatore fuzz che suonava due accordi, come i primi Cabaret Voltaire ma con delle melodie incredibili”. Gillespie chiamò il numero per i contatti scritto sulla cassetta e parlò con la mamma di Douglas Hart. “Sua mamma disse – è al college, gli dirò di chiamarti quando rientra figliuolo – così quella stessa sera mi chiamò. Non l’avevo mai incontrato prima ed abbiamo parlato per due ore e mezza di musica, cinema, dei Clockwork Orange, dei Love, dei Ramones…avevamo tanto in comune”.

Per Hart e per fratelli Reid fu un momento importante. “Senza Bobby avremmo facilmente continuato per anni senza andare da nessuna parte ed avremmo finito con lo scioglierci” dice Hart “non so davvero cosa avrebbe fatto ognuno di noi se Bobby non avesse chiamato. Ci disse – ho un amico a Londra, mandategli la demo –. Lo facemmo”.

Alan McGee ha invitato la band a suonare al suo Living Room club, sopra il Roebuck pub a Tottenham Court Road, l’8 giugno del 1984. Per quella occasione William Reid tirò fuori un nuovo nome: The Jesus And Mary Chain. “Non significa niente” dice Jim “ma suona bene”. McGee trovava buona la demo ma l’ingaggio era scadente rispetto all’entusiasmo del suo amico Gillespie, di cui si fidava ciecamente. Al momento del soundcheck McGee vide Jim e William Reid nel bel mezzo di un fraterno scambio di opinioni, si lanciavano bottiglie e si picchiavano a vicenda. I drinks se li erano giocati. C’erano anche Douglas Hart e un esordiente sedicenne alla batteria, Murray Dalglish, reclutato tramite un annuncio in una vetrina di un negozio di dischi a East Kilbride.

Il Living Room è stato il locale di debutto dei Jesus And Mary Chain. “Erano fortissimi” dice McGee “mi presero alla sprovvista. Hanno fatto un soundcheck con Somebody To Love, il brano dei Jefferson Airplane e poi Vegetable Man. Ero ossessionato da Syd Barrett in quel periodo. Lo suonarono subito, avevo sentito abbastanza.”

“E’ stato un gran fracasso” dice Jim Reid “stavamo facendo un gran casino mentre pensavamo di suonare quella canzone. Lui avrà pensato che fosse avanguardia folle perché ci disse – è geniale, volete incidere un album? – non sapevo se ci stava prendendo in giro o meno. Non lo stava facendo. Un singolo era già sufficiente per noi”.

Il concerto di quella sera , di fronte a 10, 15 persone fu ancora più sregolato, caricato dal consumo di ore e ore di alcolici. “C’era un sacco di energia repressa da scatenare” dice Hart “anni di frustrazioni. Fu il caos totale. La gente rimase ferma a fissarci”.

Tecnicamente quello che si potè ascoltare fu un suono trash schizzato che lotta contro un ciclone preoccupante di feedback causato dal bassissimo volume della vocale del Living Room, abbassato apposta per protestare al volume estremo dei Mary Chain. William Reid suonò per tutto il tempo dando le spalle al pubblico, chinato sul suo amplificatore, sbattendo la chitarra sul pedale del fuzz il quale, a causa dei danni che subiva, emetteva un suono terrificante. Hart suonò un basso con sole due corde, e comunque scordato. Jim Reid cadde dal palco, lamentandosi ed urlando. Dalglish nel frattempo era tormentato dallo sguardo di un giovane che sapeva che tutto questo non gli apparteneva.. tutte le volte che provava qualcosa di diverso, come una rullata, riceveva un calcio. Il concerto durò 10 minuti.

“E’ stato stupendo, una confusione stupenda” dice Dick Green, uno dei luogotenenti di McGee alla Creation. “Sono sicuro che nessuno avrebbe immaginato che suonassero come in effetti suonarono”. “Il feedback fu una fortuna” dice McGee. “Ogni gruppo vagamente normale avrebbe voluto spegnere gli amplificatori. I Mary Chain hanno semplicemente lasciato che suonassero. Forse perché erano troppo folli per capire cosa stava accadendo”.

Oggi McGee insiste che il feedback avvolge e colpisce, per questo i Mary Chain divennero famosi sin da subito, non solo per caso ma come dimostrato con il primo singolo, era il loro obiettivo, non quello di William Reid. “Avevo il bottone del feedback e lo avrei voluto spingere tra 9.5 e 10 sul mixer. E loro pensarono fosse spazzatura perché il feedback era troppo alto. Ho cercato di convincerli che fosse buono. Successivamente tutto il mondo andò pazzo per quel suono e per questo si dice che abbiamo inventato il feedback”.

Comunque sia accaduto, il suono dei Mary Chain fu rivoluzionario. Pubblicato nel novembre del 1984, Upside Down suscitò le reazioni degli ascoltatori che si chiesero: è possibile combattere con questo estremismo? Non sentite come la musica pop è stata maltrattata? O siete forse parte del problema nell’assecondare la scena musicale inglese dominata da lucidi merletti, vedi Frankie Goes To Hollywood, Howard Jones e Prefab Sprout, o tutti i gruppi soul prefabbricati nei quali i Reid credevano ma che hanno boicottato la scena di Glasgow per escluderli?

Bobby Gillespie era preso dal progetto. Amava i Jesus And Mary Chain al punto di entrare nella band al posto dello sfigato Murray Dalglish subito dopo la registrazione di Upside Down. La sua prima apparizione dal vivo fu l’11 ottobre, ad un concerto nel quale suonarono anche i novellini Primal Scream. Con Gillespie a bordo i Mary Chain divennero una entità molto più forte. Anche se i loro concerti dal vivo restarono caratterizzati dallo stonato rumore bianco e da una brevissima durata – parzialmente frutto del loro piccolo repertorio, ma anche ispirati dai colleghi scozzesi pop dissenzienti i Fire Engines, le cui performances duravano circa 15 minuti – il modo di suonare di Gillespie volutamente elementare e l’aspetto da folletto maligno, figo, con i Ray Ban portava ad una massiccia unione nell’aspetto estetico della band.

“Posso suonare solo due pezzi della batteria” dice Gillespie “posso fare il suono di Moe Tucker in What’s Going On o il suono dei Ronettes in Be My Baby… e poi mescolarli insieme (ride). Ed ero bravo a farlo! Ero il migliore del mondo per loro, perché sentivo la musica nella mia anima e li amavo. Pensavano che il rock and roll era stato messo da parte e volevano ritrovarlo di nuovo, sporco e osceno”.

Forse più di ogni cosa, comunque, i fratelli Reid volevano essere delle pop stars. Mentre da un lato erano influenzati dai gruppi più famosi del momento, e precursori del noise infernale quali The Birthday Party e Einsturzende Neubauten, loro erano troppo soggetti al fascino esagerato di Bolan e Bowie, tanto quanto le iconografie degli anni ‘50 e ‘60 della cultura trash, per puntare soltanto alla distruzione. I loro affari di cuore con la melodia, brutalmente consumati ma nondimeno affettuosi, furono il vero motivo per cui Upside Down vendette rapidamente la bellezza di 10.000 copie.

“Odiavamo tutta la scena indie, nella quale la gente faceva finta di celebrare la propria sciatteria e l’assenza di ambizioni” dice Reid “amavamo la musica che stavamo facendo e volevamo farla ascoltare a più persone possibile. Volevamo andare a Top Of The Pops. Volevamo provare a cambiare la musica, e non lo farai mai se vendi 20 copie del tuo disco. Così abbiamo fatto un patto col diavolo”.

Dopo il successo di Upside Down ed una meravigliosa recensione su New Musical Express che li paragonava ai Sex Pistols, i Mary Chain firmarono, tramite Geoff Travis e la Blanco Y Negro, con la Warner Bros. “Erano la più amata/odiata band dei loro tempi” dice Travis. “E’ una bella posizione in cui trovarsi”.

La prima settimana del 1985 vide i Jesus And Mary Chain suonare all’Old Grey Whistle Test, alla BBC, nonchè l’uscita del primo singolo con una major, Never Understand, suonato su Radio 1. Grazie al fiuto di McGee, mini Malcolm McLaren che controlla le chiacchiere e mente alla stampa specializzata sui comportamenti della band, i Jesus And Mary Chain continuano a vivere il sogno Warholiano. Solo pochi mesi prima, Jim Reid prevedeva di attingere per il quinto anno consecutivo dal sussidio. Adesso si guardava alla TV e vedeva il suo viso sbarbato sulle copertine dei settimanali.

“Ero completamente in aria” dice Reid “ Dio mio, ho questo potere che non avevo un paio di settimane fa! È grandioso!”.

L’euforia iniziava a svanire. Iniziarono ad affrontare le reazioni del pubblico alle loro apparizioni, ed i concerti violenti sollevavano moltissime critiche, come il 15 marzo 1985 al North London Polytechnic. Diventata famosa come la prima delle due battaglie dei Jesus And Mary Chain, l’aspetto più raccontato di quella sera non fu lo scagliarsi del pubblico sul palco ma la band terrorizzata, chiusa a chiave nel backstage che guardava la porta cedere sotto la pressione della folla. A causa di tutte le loro bravate dovute all’eccesso di alcol, i Mary Chain, e specialmente i Reids, erano dei cacasotto patologici. Alla loro successiva performance a Londra, il 9 settembre all’Electric Ballroom, si era sparsa la voce che quel concerto sarebbe stato il massimo per gli amanti delle risse. Per il loro breve tour in UK McGee ha assoldato delle guardie del corpo. “Avevamo due immensi bodyguards” dice Hart “i quali si licenziarono dopo un paio di concerti perché qualcuno colpì uno di loro con la base di una cassetta postale”.

Spaventati da ciò che accadde al North London Polytechnic, McGee dice alla band che era decisamente cambiato nei loro confronti. Ma la violenza ed i danni all’Electric Ballroom fu tutta un’altra cosa. “Ancora non riesco a capire dove mi trovavo. Pensai fosse tutto uno scherzo, il fatto di dovere annunciare che c’era una battaglia al concerto. Ma l’Electric Ballroom fu come West Ham e Chelsea e Fulham che si picchiano l’un l’altro, e fu un casino completo.

Calmi a mala pena con il loro aspetto da folletti, i Jesus And Mary Chain iniziarono a distaccarsi l’un l’altro dal casino che loro stessi avevano causato ed incoraggiato, fino al punto di dissociarsi da ogni scontro accaduto.

“Alan ha una sua versione, Jim e William la loro” dice Hart. “Ci fu un sacco di lotta corpo a corpo. Se non fosse stato per le risse non avremmo mai avuto tutta la stampa addosso e la gente non sarebbe stata attratta dai nostri dischi, ma in quei momenti Jim e William ne risentivano. Loro pensavano, perché la gente non parla delle canzoni?”

Successivamente la gente lo avrebbe fatto, grazie all’uscita nel novembre 1985 di Psychocandy, uno dei migliori album debutto di tutti i tempi, una definitiva esposizione artistica da tenere in bacheca che evidenzia l’estro sorprendente dei Reids per la dimostrazione di cotanta sporca bellezza. Esso ridefinisce i parametri musicali del pop, creando uno stile da imitare. Kevin Shields dei My Bloody Valentine era al concerto dell’Electric Ballroom solo per vedere come faceva William Reid a fare quel tipo di rumore. Per lui fu una tale ossessione che comprò i bootleg dal vivo solo per ascoltare il suono del feedback. “Pensavo come possa fare una sola persona a farlo” dice “poi ci sono riuscito, ma mi ci sono voluti anni! My Bloody Valentine erano oggettivamente la band copia numero uno dei Jesus And Mary Chain. Te ne accorgi nel nostro primo disco, è spazzatura al loro confronto. Quello che William Reid è riuscito a fare con la sua chitarra è totalmente originale. Usava il noise come in una esposizione di pop art, laddove prima di loro nel noise c’era solo una componente di durezza. Psychocandy fu una gran cosa”.

Per i Reids, Psychocandy portò un breve ma intenso momento di soddisfazione. Presero una copia non ancora pubblicata e l’ascoltarono nel loro appartamento di Fulham. “Non avremmo mai immaginato che suonasse così bene” dice Jim “quando l’ascolto adesso quasi dimentico quello che eravamo, a quel tempo, come persone. Così non ha più molto senso per me, adesso, ma allora era esattamente il disco che volevamo realizzare”.

Non hanno voluto/potuto farne un altro come il primo. La purezza concettuale dell’era di Psychocandy si è consumata presto. Per prima cosa Bobby Gillespie lasciò il gruppo, dopo che i Reids gli chiesero di dedicarsi completamente a loro, sapendo bene che aveva progetti con i Primal Scream, e che non avrebbe potuto continuare a suonare in quel modo così lineare per il progetto che avevano in mente per il disco successivo. A malincuore Gillespie disse no. “Ed è andata bene” sospira “ma poteva anche finire diversamente”.

Per l’album successivo, Darklands, Gillespie fu rimpiazzato con una batteria elettronica. Neppure Hart suonò in quell’album. La sua scarsa partecipazione finì con l’esclusione dalla band nel 1990 dopo che il suo ruolo era ridotto a niente più che una mano d’aiuto con uno stipendio. Forse l’aspetto più significativo fu il licenziamento di McGee come manager alla fine dell’estate 1986. A loro piacque il loro vero primo successo, Some Candy Talking, ma i Reids sentivano che McGee non prestava loro sufficiente attenzione. Jim e William iniziarono a chiudere gli spazi.

“Fu come la liberazione della Russia” dice Hart “non venivamo da nessuna parte ed il denaro e la fama hanno cambiato la nostra personalità. Per sopravvivere, penso che loro si siano tenuti stretti l’un l’altro ed hanno iniziato ad escludere la gente, me compreso. Presero un nuovo manager che naturalmente disse ‘ma state dividendo i soldi con questo stronzo?!’. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Ma non provo nessuna amarezza, solo tristezza per il fatto che io e Jim non siamo più vicini come eravamo un tempo. E so che può sembrare banale, ma mi basta quando adesso i ragazzi vengono da me e mi dicono ‘Psychocandy è uno dei miei album preferiti’“.

Oggi Jim Reid vive con sua moglie e sua figlia a Devon. È appena uscito un nuovo singolo, Dead End Kids, e suona dal vivo ogni tanto. Geoff Travis afferma che “è dura quando fai un primo disco perfetto” e Jim è d’accordo con lui. I Mary Chain rimangono un argomento dolceamaro, soprattutto perché lui ricorda chiaramente la notte del 12 settembre 1998, all’House Of Blues di Los Angeles quando lui e suo fratello ubriachi si spintonavano l’un l’altro sul palco per l’ultima volta, William scese dal palco ed i Jesus And Mary Chain alla fine si ruppero per sempre.

“Verso la fine, se William diceva nero io rispondevo bianco” dice Jim “dopo ogni tour volevamo ucciderci a vicenda. E durante l’ultimo tour ci abbiamo provato! (ride) E’ stato orribile, e mi fa male pensarci adesso. Voglio bene a William e so che lui mi vuole bene, ma c’è qualcosa in noi che ci fa essere in disaccordo tutte le volte”.

A differenza di ciò che si vocifera, i Reids si parlano ancora “ogni tanto, ma di certo non così spesso come dovremmo” dice Jim “l’ho chiamato l’altro giorno per parlargli del Mojo Award. Mi è sembrato interessato e lusingato da questa cosa “ fa una pausa “..credo”

Alan McGee, solitamente, è un poco evasivo. “Un sacco di gente leggendo questo non potrà capire che fenomeno erano i Mary Chain. William è un genio, William può ancora suonare Some Candy Talking e fulminare tutti. A 59 anni potrebbe tornare con quella canzone e tu spariresti, cazzo! Ce la fa ancora. È come johnny cash”.

 

 

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